L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo.

Il pianeta Terra sta conoscendo un periodo di intense trasformazioni tecnico-scientifiche che, come contropartita, hanno generato fenomeni di squilibri ecologici che minacciano a breve termine, se non vi si porta rimedio, l’insediamento della vita sulla sua superficie.

F. Guattari, Le tre ecologie

Riflettere oggi sulla problematica ecologica significa dover fare i conti con il concetto di Antropocene, un termine coniato all’inizio del nuovo millennio per significare la supposta epoca in cui l’essere umano sarebbe diventato un fattore geologico di prim’ordine, in grado di trasformare, mettendolo seriamente a rischio, l’equilibrio geo-fisico e chimico della Terra1. Trasferitosi immediatamente dal campo della speculazione scientifica a quello filosofico-critico, tale termine ha generato una molteplicità di interventi, che pure nella differenza dei rispettivi punti di vista sulla situazione attuale, hanno riposizionato al centro del dibattito sulle relazioni il pensiero della crisi, accompagnato da un’estetica della catastrofe e dell’apocalissi. In effetti, le prospettive devastanti aperte da tali prognosi rispetto all’impatto dell’umano sulla superficie e atmosfera terrestre sembrano indicare la possibilità – ormai sempre più probabile – di conseguenze talmente drammatiche da minacciare la scomparsa della stessa specie umana. Eppure, e nonostante ciò, la maggior parte degli studiosi ha risposto all’evento Antropocene – come lo hanno chiamato gli storici Bonneuil e Fressoz in uno dei primi importanti contributi sul tema2 – con un rinnovato vigore teorico, sviluppando dunque nuovi concetti, nuove ontologie e nuovi modi di vedere il mondo. Una forza, questa, che va di pari passo con una ripresa dell’impegno politico, e con un appello generalizzato alla riconcettualizzazione dell’agency umana, molto spesso intesa nei termini di una riconciliazione con la natura, che permetta di abbandonare la tendenza alla crescita e al progresso a favore di una più rispettosa “fusione ecologica” con il non umano. O, all’estremo opposto, di una rinnovata fede nel potere della tecnoscienza, che si esplicita nella ripresa del sogno tracotante della riprogrammazione della terra, da realizzarsi attraverso un’operazione geo-ingegneristica su scala planetaria, la quale dovrebbe essere in grado di stabilire un nuovo bilanciamento tecno-bio-sferico, non senza un certo profitto3.

Ora, anziché proporre una carrellata di tali ragioni critiche, analizzandone alla luce del presente i rispettivi deliri, si tenterà qui di recuperare uno dei pensieri ecologici più interessanti del secolo scorso, quello di Félix Guattari, per inserirlo antetempo e a controtempo in questa riflessione, mostrando come, da un lato, egli compia un’anticipazione dei temi dell’Antropocene e lo faccia precisamente nei termini appena indicati mentre, dall’altro, sia già in grado di suggerire una “terza via”, che si allontana dall’atteggiamento fideistico adottato sia da parte dei “deep ecologists” nei confronti della natura, che da parte dei “geo-costruttivisti” nei confronti della tecnica. Nel desiderio di superare questa dicotomia e il suo piano oppositivo, ma comunque mantenendo ferma una distinzione, Guattari inaugura un pensiero ecologico del tutto originale, in primo luogo affermando l’impossibilità di pensare l’inquinamento ambientale se non nei termini di un’interdipendenza con gli altri tipi di inquinamento (sociale, mass-mediatico, mentale…) che stanno logorando le nostre vite4, ed in seguito proponendo un ripensamento, che chiamerà “ecosofia”, delle relazioni tra individui, società e ambiente – inteso anche in quanto ambiente tecnologico («si potrebbe altrettanto bene ridefinire l’ecologia ambientale come ecologia delle macchine»5) o, per usare un termine guattariano, meccanosfera – al fine di una loro reinvenzione.

Proprio a proposito dell’elaborazione lessicale di Guattari, occorre specificare una piccola nota metodologica. Com’è stato proposto6, l’invenzione terminologica, così come l’intreccio di svariati gergalismi, fa certamente parte della sua strategia politica, volta a scardinare la potenza istituzionalizzante delle semiotiche dominanti, e dunque, al far fluire materiali significanti fuori contesto e in un intreccio di sovrapposizioni che ne mutano le funzioni. Ma siccome si sceglierà qui, perlomeno nella prima parte, di privilegiare l’aspetto sintomatologico dell’analisi proposta dall’autore, sarà spesso necessario “svestirlo”, e perciò eliminare buona parte dei “guattarismi”, per poterlo far emergere nella sua attualità. Questo non per minimizzare la singolarità espressiva dello scrittore-Guattari, né per separare di netto la parte analitica da quella progettuale, quanto per provare a superare quella riterritorializzazione autoriale alla quale il suo lessico, una volta tanto suggestivo quanto assolutamente enigmatico, è stato negli ultimi decenni sottoposto. Il presente testo sceglierà piuttosto di far funzionare Guattari diversamente, ossia attraverso quei pungoli contemporanei che vengono offerti dall’aggiornamento dei problemi o dalla riflessione di altri filosofi, costringendoci a rientrare nella profondità della sua concettualizzazione e, ancora una volta, a metterla alla prova.

1. Le tre sintomatologie

Quando si parla della sintomatologia guattariana, del resto, viene subito alla mente la sua produzione degli anni ’80, quella che, nutrita dall’incontro con Deleuze e dalla stagione post-sessantotto di critica all’ordine sociale e politico capitalistico7, dà il via ad una straordinaria produzione concettuale dove all’analisi micropolitica si associa l’entusiasmo nei confronti di “altri possibili”. L’ottimismo nei confronti della volontà di inventare nuove pratiche sociali emancipatrici collettive sfocerà nella scrittura di Mille Piani8, e si esalterà con il viaggio in Brasile dell’82, dove, accompagnato da Suely Rolnik, Guattari testimonierà l’avvento di una “rivoluzione molecolare” sotterranea9, fatta di grande vitalità nelle politiche del desiderio, della soggettività e della relazione con l’altro, dopo decenni di dittatura militare. Eppure, quasi contemporaneamente, egli stava riscontrando anche come in realtà, col fallimento di una certa idea di progresso e di modernità, si fosse creata una sfiducia collettiva nei confronti delle stesse pratiche emancipatrici, e come, nell’“inverno mondiale”10 degli anni ‘80, fosse il grigiore delle pulsioni destrorse, dell’autonomia del mercato, e delle nuove forme di razzismo e di schiavismo delle soggettività, in fondo, a trionfare. Ecco perché, sul finire del decennio, Guattari avverte la necessità di tentare una ricomposizione di tali aspetti, e, con Le tre Ecologie, di rilanciare il destino del piano collettivo associato a quello mentale, o individuale, ed a quello ambientale/tecnologico.

In questo senso, dicevamo, il discorso ambientale, relativo ai mutamenti climatici, all’inquinamento ed al deterioramento delle possibilità di vita sulla terra, diviene un volano perfetto per poter analizzare in un senso più ampio lo stato ed il destino delle relazioni sociali e politiche. Ed è proprio su questo piano che, di fronte agli attuali allarmismi ecologici, pienamente giustificati dallo stato di fatto ma frequentemente affrontati in modi del tutto insoddisfacenti, il pensiero di Guattari può ancora fornire elementi di riflessione fondamentali.

A suo avviso, è in effetti proprio l’incomprensione di fondo rispetto allo stato di insieme dei fenomeni di contaminazione a generare l’assurdità della situazione (tuttora) attuale. La sostanziale incapacità analitica delle formazioni politiche mondiali, che si riflette nell’assenza di proposte affermative sensate, e nel conseguente fallimento di ogni summit, riunione e congresso decisionale, era già stata colta da Guattari, il quale faceva risalire l’impasse generalizzato a gravi errori nella valorizzazione delle relazioni e delle attività umane. Se seguiamo il ragionamento del filosofo francese, tali errori possono essere fatti risalire a due matrici principali, che finiscono per essere intrinsecamente legate: la prima, consta in un appiattimento delle differenze che, dal punto di vista dell’ecologia mentale, si potrebbe pensare come una crisi più generale delle relazioni delle soggettività con le proprie esternalità (sociali, animali, vegetali, cosmiche, tecniche…), che tendono a divenire sempre meno altre, e per questo sempre meno singolari. Un’indifferenza generalizzata, insomma, che non si esaurisce nel serialismo mass-mediatico e nella conformizzazione dei comportamenti, per cui, direbbe ad esempio Bernard Stiegler, ogni esperienza diviene sempre meno “mia”, e ogni volta più simile a quella dell’altro11. Certamente, la riproduzione massificata degli stessi standard percettivi, indotta dalla specifica conformazione dei prodotti mediatici12, sopprime la differenziazione nell’elaborazione delle esperienze e provoca un’eccessiva sincronizzazione delle coscienze, conducendo, sempre secondo Stiegler, a una proletarizzazione generalizzata della sensibilità13. Ma da un certo punto di vista, tale sincronizzazione è pur sempre necessaria per permettere l’individuazione collettiva, ed ancor prima, la possibilità di sentire insieme, e di sviluppare insieme sogni e progetti per il futuro. Il vero problema, e anche qui la critica di Guattari può essere proseguita attraverso il punto di vista stiegleriano14, si presenta quando l’eccesso di delega tecnica arriva a far corrispondere l’interiorizzazione dell’esperienza con una serie di codici percettivi e rappresentazioni fornite da dispositivi e software: nel momento in cui le informazioni sono elaborate quasi del tutto automaticamente attraverso questi linguaggi, si perde la capacità di sintetizzarli in nuove immagini, e dunque di sognare, di proiettare visioni individuali e collettive verso l’avvenire15, di desiderare insomma. Ciò che si riscontra nelle persone, in generale, è «un abbandonarsi all’ordine delle cose, una perdita di speranza di dare un senso alla loro vita»16. Di pari passo con una governance che nella sua nullità agisce soltanto attraverso “discorsi sedativi” e per “gestione della disperazione”, ossia instillando una graduale devalorizzazione delle singolarità e precarizzando le esistenze17, ciò non può che rinforzare le visioni apocalittiche che nutrono la concettualizzazione dell’Antropocene, conducendo «i modi di vivere umani, individuali e collettivi [ad evolversi] nel senso di un loro progressivo deterioramento»18, ed installando a lungo termine zone di miseria talmente evidenti da spingere Guattari a parlarne nei termini di una “terzomondizzazione” interna ai paesi sviluppati, esacerbata dalle questioni relative alle migrazioni e al razzismo19.

Ora, questa desingolarizzazione, o indifferenziazione diffusa, potrebbe sembrare scongiurata dalla presente ubiquità dei dispositivi “social”, dove le parole d’ordine vanno sempre più nel senso della personalizzazione, della condivisione, e della socializzazione delle esistenze. Ma questo fraintendimento può essere immediatamente dissipato se si pensa alla tipologia di godimento installata da tali dispositivi, di tipo rapido e pulsionale, e dunque più orientata al consumo che ad un’effettiva partecipazione collettiva ed affezionata nella produzione simbolica. O anche alla loro maniera di ridurre ogni primo vagito di singolarità a una semplice particolarità all’interno di una gamma di possibilità in molti casi già presente, o immediatamente ricondotta, ai profilaggi di mercato costruite sulla base dei big data.

Si apre qui la seconda matrice che genera inettitudine nelle letture del presente, la quale ha origine, secondo Guattari, «nel contesto dell’accelerazione dei mutamenti tecnico scientifici»20 e nell’incapacità delle formazioni sociali di impadronirsi di questi per renderli operativi. A suo avviso, «tutto fa pensare che gli aumenti di produttività determinati dalle attuali innovazioni tecnologiche si iscriveranno lungo una curva di crescita logaritmica»21: presto potremo salutare «la prodigiosa espansione di una soggettività assistita dal computer»22 ed assistere alla “teleguida” degli individui e dei gruppi umani. È dunque inutile continuare a separare il campo psichico, ancora analizzato in relazione col suo passato individuale e collettivo, dal campo tecnico, che lo trascina piuttosto verso il futuro. Così come il discorso sociale dall’avvento di queste nuove socialità: e alla luce di ciò, tutte le istituzioni e gli organismi di educazione, cura o assistenza dovrebbero rivedere non solo le loro pratiche, quanto il proprio lessico teorico, le loro prospettive, per non congelare le proprie visioni su certe garanzie o autorità, e rimettersi così al passo con le trasformazioni tecnico-sociali. Non tanto per arginarle, come spesso si pretende in certi ambienti che si dicono “modernisti”, o per recuperare valori legati ad antiche maniere di vivere. Mai più il lavoro e l’ambiente torneranno ad essere quello che sono stati, dopo la mondializzazione dei mercati, le rivoluzioni robotiche e lo sviluppo delle biotecnologie o delle neuroscienze, ed è assurdo, nonché totalmente artificiale, pensare di potersi affidare a certe correnti “arcaicizzanti e folkloricizzanti”23, che si tratti di piccoli gruppi di specialisti o di amanti della natura, anche in senso letterale24. Più che fermare o riavvolgere il nastro delle trasformazioni, sarebbe necessario capire se e grazie a quali forze sarà mai possibile orientare tale iper-produzione verso strade meno assurde, afferma Guattari. A suo avviso, anzi, è proprio l’accelerazione dei mutamenti tecnico-scientifici che deve essere ripresa in considerazione ed analizzata da un punto di vista che, ancora una volta in relazione con il pensiero di Stiegler, non esiteremmo a chiamare farmacologico25. Tale accelerazione, lungi dal poter essere negata, rappresenta senza ombra di dubbio un pericolo estremo per le soggettività, sempre più stressate, catturate e soggiogate dall’appropriazione neoliberale delle tendenze tecniche26. Così come il capitalismo globale sta distruggendo la biodiversità, attraverso l’inquinamento, la devastazione dell’ambiente e degli habitat, il suo aspetto cognitivo sta annichilendo la diversità culturale, i legami sociali, le capacità critiche e i saperi in generale, riducendoli appunto a un elemento di consumo dalla rapida obsolescenza, e perciò privando gli individui del tempo necessario per prendersene cura: «non scompaiono soltanto le specie, ma scompaiono le parole, le frasi, i gesti della solidarietà umana»27. Dall’altro lato, però, e proprio mentre costituisce questo pericolo, l’accelerazione tecnologica è anche in grado, se gestita adeguatamente, di generare tutta una serie di possibilità di rinnovamento, o persino addirittura, come è stato affermato28, di costituire il passo definitivo verso la tomba del capitalismo stesso29. Ad esempio, sostiene Guattari, la rivoluzione informatica sta «rendendo disponibile una quantità sempre maggiore di tempo di attività umana potenziale»30, o di tempo libero accessibile, che potrebbe essere utilizzato ai fini di una reinvenzione della cultura, della creazione, della ricerca, dell’arricchimento delle forme di vita e delle sensibilità, ma che in assenza di una riflessione profonda sul tema rischia di condurre a nient’altro che disoccupazione, marginalità oppressiva, solitudine, inoperosità, angoscia, nevrosi… Ed è dunque perché le possibilità così aperte non si ritorcano in negativo che è necessario, secondo il fondatore della clinica di La Borde, re-inventare l’ecologia, facendola passare per i tre assi già presentati – in maniera in effetti molto simile all’organologia proposta da Stiegler per studiare in maniera coerente la con-sistenza degli organi artificiali, sociali e psichici31. Non ci sarà alcuna vera risposta alla crisi ecologica, annuncia Guattari, se non si sarà in grado di riorientare gli obiettivi della produzione e dell’economia, in tutti i sensi, compreso quello abitativo, in questa direzione. Ed a proposito del discorso abitativo, come dimenticare l’attualissimo riferimento a Donald Trump, una di quelle «alghe mutanti e mostruose» che vengono lasciate libere di proliferare ed occupare «interi quartieri di New York, di Atlantic City ecc., per “ristrutturarli”, aumentarne gli affitti e cacciar via, nella stessa operazione, decine di migliaia di famiglie povere, la più parte delle quali sono condannate a diventare […] l’equivalente dei pesci morti dell’ecologia ambientale»32. Quest’alga tossica, figlia dell’incuria ed esacerbata oggi dalle possibilità offerte dal capitalismo delle piattaforme33, sta ormai occupando trasversalmente «le interazioni tra ecosistemi, meccanosfere e universi di riferimento sociali e individuali»34, tanto da aver portato alla proposta di trasformare, non soltanto simbolicamente e non senza un certo humor, il nome dell’epoca geologica ad oggi più artificialmente disastrosa in Trumpocene35. Ed in effetti, tornando a Guattari, continuando a sposare una certa mentalità trumpiana, fatta di noncuranza, individualismo e vacuità, e dunque a riprodurre gli stessi schemi che hanno portato al disastro attuale, non si potrà che procedere verso il peggio. A meno di una rivoluzione sociale, politica, culturale, che imponga un punto di vista che non pensi le relazioni necessariamente in termini di profitto, i comportamenti in senso utilitaristico, e le regolazioni come dipendenti dai soliti rapporti di forza.

Sono dunque questi i tre piani sintomatologici che emergono dall’analisi guattariana, e che, anche a fronte di una loro attualizzazione come quella compiuta, richiedono una immediata presa di attenzione attraverso le tre ecologie.

  1. Le tre terapie

Qui non si tratta di proporre un modello di società “chiavi in mano”, ma soltanto dell’assunzione dell’insieme delle componenti ecosofiche, il cui obiettivo sarà, in particolare, l’installazione di nuovi sistemi di valorizzazione.

F. Guattari, Le tre ecologie

Nonostante lo sguardo sintomatologico di Guattari sia talmente potente da saper cogliere, nelle trasformazioni in atto, i primi elementi del disastro che ai suoi tempi si stava solo preparando, e talmente ricco di spunti da meritare un ampio spazio di riflessione, non si può non dar conto della parte terapeutica della sua proposta, allo stesso modo affascinante ed ancora attuale. Un sistema di cura, quello guattariano, che non discende certo da uno sguardo psicanalitico o medico, ma che, ancora una volta, invoca l’assunzione di paradigmi etici capaci di responsabilizzare in primo luogo tutti coloro che si trovano in una posizione di intervento sulle istanze individuali psichiche e collettive, ma che contemporaneamente possano anche essere assunti come paradigmi estetici, perché l’invenzione non si irrigidisca in una ripetizione mortifera delle pratiche, dei riferimenti e dei “catechismi”, bensì inauguri sempre nuove aperture prospettiche, in accordo con una precisa analisi del sensibile.

Si tratta dunque di un progetto altamente politico, che se da un lato si pone come obiettivo macro l’installazione di nuovi sistemi di valorizzazione, e di conseguenza, la riorganizzazione degli obiettivi della produzione, deve in realtà trovare il suo primo appoggio nei «territori molecolari della sensibilità, dell’intelligenza, e del desiderio»36, per giungere in seguito a un lavoro su grande scala. Solo partendo dal piano micropolitico e microsociale, afferma Guattari, si sarà in grado di incidere sui grandi sistemi di valore che organizzano le relazioni e rimetterle in piedi, cambiate di segno. Ecco allora che la terapeutica ecologica si dispiega micropoliticamente nelle sue tre direzioni, utilizzando il discorso ambientale come trampolino per aprire il cantiere ecosofico, e per affrontare la questione della responsabilità attraverso la sua riconcettualizzazione “dal basso”. Se alla fine degli anni ottanta, dopo la fagocitazione capitalistica di tutto il corredo teorico figlio del sessantotto37 era senz’altro sentita la necessità di “trovare nuove armi”38, oggi tale spinta non si è affatto esaurita, e se le armi critiche nel frattempo forgiate non hanno saputo o potuto resistere alla famelica avanzata del capitalismo, è forse perché di questa resistenza hanno fatto la propria roccaforte, chiudendo a doppia mandata porte e finestre per non permettere al nemico di infiltrarsi. Nuove monadi del pensiero, i concetti così cristallizzati hanno perso ogni contatto col fuori e si sono creduti contenere già tutto il mondo, sebbene, quasi leibnizianamente, in forma ancora oscura – necessitando dunque soltanto una forte analisi interna per rendere chiaro ed evidente ciò che ancora non lo era a sufficienza. Oggi, però, con la rottura epistemologica causata dalla proposta teorico-concettuale dell’Antropocene siamo forse di fronte alle stesse condizioni di possibilità che permisero a Guattari di lanciare il suo grido, e dunque a una nuova opportunità per sbloccare il pensiero, facendogli finalmente muovere qualche timido passo al di là del muro che esso stesso si è costruito attorno.

Quali potrebbero dunque essere le teorie, quali i valori, e quali le pratiche che, seguendo lo spirito guattariano fin qui evocato, possono considerarsi, oggi, degne di un’ecosofia dell’Antropocene?

Se dal punto di vista ambientale Guattari faceva leva sulla necessità di istituire un nuovo impegno verso il futuro, partendo dal ripensamento della relazione tra gli equilibri naturali e gli interventi umani, questo non significava di certo l’apertura di nuove visioni antropocentrate, dove applicando «con padronanza i loro crescenti poteri sociali, economici e tecnologici per migliorare il benessere dei loro simili, stabilizzare il clima e proteggere il mondo naturale», gli esseri umani potessero essere in grado di obliterare tecnologicamente la loro dipendenza dall’ambiente39. La fiducia nei successi ottenuti grazie all’incremento tecnologico non può, sostiene Guattari, essere isolata dai suoi effetti sugli altri piani ecologici, né tantomeno, aggiungiamo, sfociare in una supposta preservazione della “natura” del pianeta, che secondo gli eco-modernisti potrebbe invece essere così riportata a «uno stato più selvatico e più verde»40. Alla luce del fatto che «verrà un tempo in cui sarà necessario elaborare immensi programmi per regolare il rapporto tra l’ossigeno, l’ozono e il gas carbonico nell’atmosfera terrestre», o che «in futuro, il problema non sarà più soltanto quello di una difesa della natura, bensì quello di un’offensiva per riparare il polmone amazzonico, per far rifiorire il Sahara»41, e sebbene tale evoluzione non potrà (e non dovrà) certo essere fermata, il filosofo non chiede affatto di spingere ulteriormente sull’acceleratore per portare a compimento queste mirabolanti promesse. Il suo appello, come si è detto, va piuttosto in direzione dell’adozione di una nuova etica ecosofica, in grado di affrontare «questa situazione affascinante e terrificante insieme»42, e di prendersi cura di tutto ciò che necessariamente si dispiega attorno al divenire macchinico, ossia i divenire animali, vegetali, cosmici, secondo temporalità umane e non-umane al contempo. Se «alla narrazione della genesi biblica stanno per sostituirsi le nuove narrazioni della ricreazione permanente del mondo»43, dovremmo allora tentare di comprendere a fondo le ragioni ed i pericoli di tale prospettiva, per essere in grado di decostruirla, così come ha brillantemente fatto Frédéric Neyrat44. E sulla base di questa decostruzione, esigere un’altra politica, che si fondi su una logica locale per costruire “nuovi territori esistenziali”. Attenzione: locale non significa qui limitato ad aspetti culturali specifici o ad una certa originarietà folklorica, né tantomeno l’introduzione di un discorso dal dubbio sapore regionalista, protezionista o autarchico. Piuttosto, è sul piano dell’investimento affettivo e pragmatico sulle rotture-biforcazioni possibili, capaci di fare la differenza, che si insiste. Ecco che allora troviamo da una parte la proposta di Neyrat per una Terra abitabile, spazio topologico che – lontano dal voler richiamare un principio di distribuzione matematica – si caratterizza innanzitutto come spazio per una “terapia ontologica”45 delle relazioni tra esseri e luoghi46. Un progetto che non si basa su di un’ipotetica “simmetria generalizzata” delle relazioni – dove ogni elemento è uguale all’altro e perciò deve godere degli stessi diritti, finendo così per “normalizzare” l’antropizzazione di ogni aspetto del pianeta47 – ma che è capace di riorganizzarle secondo la modalità del “passaggio”, per un’ecologia politica dei “soggiornanti transitori” della Terra, le cui traiettorie sono imprevedibili ed eccentriche48. Ciò non significa, afferma Neyrat, attribuire all’umano piena libertà nel poter fare qualsiasi cosa (siamo ben lontani dai discorsi sul Transumanismo), ma precisamente interpretare il vivente come «un passaggio di tempo attraverso dei luoghi»49. Egli mostra così come la Terra si possa in realtà pensare come un tragitto di lungo corso, che non ha prodotto il vivente, ma che lo ha integrato al suo apparire, attraversandolo, incrociandolo, lasciandolo comunque vivere nella sua irriducibile atopia. Come allora proteggersi dai disastri, ci si potrebbe chiedere, se non al prezzo di un disinteresse “turistico” nei confronti dei luoghi? La necessità di formulare un’etica del passaggio, del “lasciar-essere”, dell’abitare transitoriamente e dell’auto-organizzazione locale dell’oikos come luogo di decisioni, conflitti e negoziazioni50, si incorpora fortemente con la visione guattariana dell’ecologia sociale, e più in là, con alcune proposte formulate negli ultimi anni da Bernard Stiegler, proprio su questo tema.

In effetti, le strade della prospettiva ecosofica, allo stesso tempo pratiche e speculative, etiche ed estetiche, sociali e politiche, dovrebbero, secondo Guattari, ristabilire un «rapporto con l’altro, con lo straniero, con il diverso: tutto un programma che sembrerà molto lontano dalle urgenze del momento!» ma che sarà sempre più necessario per «arginare il grigiore e la passività diffusi»51. Entra qui in gioco, allora, l’altro concetto di località, quello proposto da Stiegler, che, a sua volta lungi dal voler organizzare questo rapporto secondo la modalità del “ripartire” le determinazioni spaziali52, intende proporre il territorio come un’occasione per “dar luogo”, capace di farsi carico delle differenze psico-sociali anziché di renderle indifferenti. In questo senso, si può citare il lavoro condotto assieme ad un’equipe cangiante di ricercatori nell’area parigina di Plaine Commune53 per farne un “territorio apprendente contributivo”. Tale progetto affianca alla riflessione sull’abitabilità innanzitutto un processo di “capacitazione” continua degli abitanti54, anche attraverso la produzione e l’utilizzo di tecnologie digitali specificamente orientate alla partecipazione, deliberazione e azione cittadine, e in seguito la sperimentazione dei lineamenti di un’“economia contributiva”, basata proprio sulla possibilità di mettere a valore, ma ovviamente non in senso capitalistico, le specifiche abilità di ciascuno. «L’epoca contemporanea», scrive Guattari, «esacerbando la produzione di beni materiali e immateriali a detrimento della consistenza di territori esistenziali individuali e di gruppo, ha generato un immenso vuoto nella soggettività che tende a divenire sempre più assurdo e senza rimedi»55. Ecco allora che il progetto di Plaine Commune, ponendo l’attenzione precisamente sulle “configurazioni esistenziali” (direbbe Guattari) che si instaurano in relazione con tali beni, ma anche facendosi carico della precarietà tipica di questa conglomerazione territoriale, e così trasformando segregazione, isolamento e frammentazione in progressione culturale e sociale, ci sembra un tentativo interessante di rispondere all’invocazione del nostro autore:

nuove borse di valore, nuove deliberazioni collettive che offriranno possibilità alle iniziative più individuali, alle più singolari, alle più dissensuali, sono destinate ad apparire – appoggiandosi in particolare su mezzi di concertazione telematici ed informatici. La nozione di interesse collettivo dovrebbe venir allargata a delle attività che, a breve termine, non danno profitto a nessuno, ma che, a lungo termine, sono portatrici di un arricchimento processuale per l’insieme dell’umanità. Ciò che qui è in discussione è l’insieme del futuro della ricerca fondamentale e dell’arte56.

Ovviamente, le proposte sul piano ambientale così come quelle sul piano sociale dovranno andare di pari passo con la presa in carico del piano soggettivo dell’ecologia mentale, che si occuperà di monitorare costantemente i processi di soggettivazione (o individuazione) in corso, e di intenderli profondamente per poter reinventare il rapporto del soggetto con il corpo, con le sue fantasie, con la sua temporalità e finitudine, e perfino con i sogni, per recuperare quella facoltà immaginativa di cui già abbiamo analizzato la crisi. Al contempo, nella sua articolazione con il collettivo, ci si dovrà prendere cura delle relazioni e dei rapporti interpersonali a tutti i livelli, per effettuare quella “terapia ontologica” promossa da Neyrat, facendo ben attenzione ad evitare ogni uniformazione qualitativa del punto di vista, ogni in-differenziazione, che cerchi di creare un consenso quantomai artificioso intorno a certi tipi di pratiche, o voglia mettere sullo stesso piano qualsiasi tipo di relazione. Generata da certe letture contemporanee di Deleuze e Guattari che hanno in qualche modo “mitizzato” il tema delle relazioni (si pensi alla distorsione di concetti piuttosto inflazionati come quello di rizoma, ad esempio), arrivando a sostenere l’utopia dell’interconnessione generalizzata, della rete totale all’interno della quale nulla si può isolare o separare, quest’ultima idea è segnalata da Frédéric Neyrat come una pericolosa trappola teorica, economica e politica. Affermare che ogni essere, vivente o meno, sta sullo stesso piano, sembra procedere in effetti più nell’ordine dell’uno che del rispetto della molteplicità, e per di più, «siccome tutto è in rete, legato, interconnesso, allora non è più possibile alcuna distanza rispetto al mondo in cui viviamo. Bisogna dunque accettare il mondo così com’è, con la sua turbolenza ontologica»57, lasciandoci in balia degli eventi ed in uno stato di incertezza totale. Aggiungeremmo che l’interconnessione assoluta, da un certo punto di vista lusinghiera per il senso di eternità e partecipazione totale che sembra conferire, è in realtà tutt’altro che promotrice di tali aspetti, contribuendo piuttosto a quella anestetizzazione delle coscienze di cui si parlava all’inizio, come effetto precisamente calcolato da parte del sistema di governance attuale. Ciò perché una simile assolutizzazione delle relazioni apre le porte alla loro facile automatizzazione o sussunzione algoritmica, innescando situazioni di controllo, regolazione, ed addirittura sfruttamento, nel senso di quelle forme ormai note sotto l’appellativo di “governamentalità algoritmica”58. Del resto, pare che Guattari stesse già pensando in questa direzione quando affermava che la soggettività capitalistica si trova ormai presa in un processo di automatizzazione tale da essere generata da «operatori di ogni tipo e livello» e in questo senso eterogestita: «è a partire dai dati esistenziali più personali – si dovrebbe dire addirittura infrapersonali – che il CMI costituisce i suoi aggregati soggettivi di massa […] assicurandosi un potere sul massimo dei ritornelli esistenziali per controllarli e neutralizzarli»59.

È dunque impadronendosi dei dati esistenziali di ciascuno, così come degli elementi che compongono le semiotiche economiche, giuridiche, tecno-scientifiche, e di soggettivazione che si compone questa “grammatica algoritmica” – un sistema asignificante e asoggettivo di controllo, basato sull’estrazione di dati e metadati attraverso diverse tecniche di profilaggio e nell’ottica di una previsione a lungo termine dei comportamenti individuali e collettivi. Ed è proprio sfruttando questa “relazionalità aumentata”60 che, secondo Antoinette Rouvroy, la governamentalità algoritmica diviene tanto una radicalizzazione quanto una strategia immunitaria del capitalismo e del neoliberalismo,

che essa “purifica” o “spurga” da tutto ciò che potrebbe metterli in “crisi”, ossia interromperli o farli biforcare: il mondo stesso (rimpiazzato puramente e semplicemente dai flussi di dati), la vita (in ciò che essa ha d’intempestivo come la nascita o d’interruttivo come la morte), i soggetti (capaci di reticenza – di non fare tutto ciò di cui sono capaci – e di affabulazione, suscettibili di far biforcare il corso delle cose)61.

Secondo la filosofa belga, l’essere senza mondo, senza vita, senza soggetti, fa di questa realtà totalmente e puramente relazionale una situazione inabitata e inabitabile. Ma attenzione: né in Le tre ecologie, né altrove, ci pare di poter affermare, Guattari sta mitizzando l’interconnessione generalizzata, quanto piuttosto la possibilità di «rendere processualmente attive delle singolarità isolate, rimosse, che girano e si rigirano su se stesse»62. Certo, esse dovranno essere messe in condizione di poter comunicare tra loro, ma non al fine di essere inglobate nel meccanismo totalizzante precedentemente indicato, né per “risolvere i contrari”, quanto piuttosto per «coltivare il dissenso»63, rispettando le dinamiche di avvicinamento e separazione, i fuori norma, come potenziali di individuazione che non lavorino per la ripetizione e il consolidamento dell’equilibrio dell’universo semiotico capitalista, e che siano in grado di sciogliere gli ormeggi quando necessario.

In questo senso, afferma Guattari, la nuova logica ecosofica dovrà ispirarsi al lavoro dell’artista, quando in grado di lasciarsi trainare alla deriva da un dettaglio accidentale, che di colpo lo fa biforcare, allontanandolo dai legami precedentemente istituiti. Cogliere questo tipo di possibilità può permettere di sviluppare delle pratiche specifiche tendenti a modificare e re-inventare non solo i modi di essere all’interno di coppia, famiglia, contesto urbano, lavoro, ma più in generale anche a ricostruire le modalità di essere-in-gruppo, fino alla possibilità di sviluppare nuovi contratti di cittadinanza.

3. Per concludere…

La grande ignoranza dogmatica che tuttora persiste da parte di numerosi teorici ha mantenuto le lotte di emancipazione sullo stesso piano del capitalismo.

F. Guattari

Ci pare importante affrontare un punto sul quale un aggiornamento di Guattari sembra essere strettamente necessario, e che riguarda precisamente il tema dell’ecologia psichica.

Se Guattari giustamente denunciava la tendenza del Capitalismo Mondiale Integrato a decentrare sempre più i suoi centri di potere, ponendo più interesse nella produzione di segni, sintassi e soggettività che a quella di beni e servizi64, ciò di cui oggi siamo testimoni non è certo il rischio di avere soggettività prodotte a partire dalle necessità del CMI e a misura delle sue logiche. Semmai, ed ancora una volta seguendo Antoinette Rouvroy, è proprio la produzione di soggettività ad essere in qualche modo scongiurata, e proprio a causa delle trasformazioni algoritmiche a cui già abbiamo accennato. Il fatto che i dati raccolti siano asignificanti, a quest’altezza non produce certo, nella loro articolazione, quella possibilità di creare nuovi linguaggi o semiotiche di rottura che Guattari immaginava. Per di più, nello pseudo-linguaggio datiformato non si dà alcun piano di costruzione individuante, ma soltanto l’aggregazione di dati per la composizione di un profilo. Ed essendo questa un’attività produttiva totalmente eterogestita, non si creano nemmeno più occasioni di soggettivazione in relazione con la presunta riappropriazione dei dispositivi o degli strumenti tecnici.

Non c’è più soggetto, in effetti. Non è soltanto che non c’è più soggettività, è che la nozione di soggetto è a sua volta completamente evacuata grazie a questa colletta infraindividuale di dati, ricomposta a un livello sovra-individuale sotto forma di profilo. Voi non apparirete mai più65.

Del resto, non si può negare che Guattari lo avesse a sua volta intuito. Scrive infatti, in Rivoluzione molecolare:

La testura stessa del mondo capitalista è fatta di questi flussi di segni deterritorializzati […] il capitalismo si sostiene essenzialmente su macchine a-significanti. I movimenti in borsa, ad esempio, non hanno alcun senso; il potere capitalistico a livello economico, non fa discorsi,cerca soltanto di controllare le macchine semiotiche a-significanti, di manipolare gli ingranaggi a-significanti del sistema. Esso attribuisce a ognuno di noi un ruolo: medico, bambino, maestro, uomo, donna, omosessuale. Ognuno dovrà poi adattarsi al sistema di significati che gli è stato preparato. […] Le macchine a-significanti non conoscono né i soggetti, né le persone, né i ruoli, e nemmeno gli oggetti delimitati. È proprio questo che conferisce loro una specie di onnipotenza: esse passano attraverso i sistemi di significati nei quali si riconoscono e si alienano i singoli soggetti66.

Salvo una precisazione: non ci sono più significati attribuiti ai profili, soltanto abitudini, di condotta, consumo, di scelta. Ma se cade uno dei tre piani dell’ecosofia, non cadrà allora tutto il sistema così raffinatamente pensato da Guattari? Se l’accelerazione tecnologica doppia in velocità il piano individuale e quello collettivo, così come sostiene Stiegler67, non si perderà allora la possibilità di ricostituire quell’equilibrio organologico fatto di attenzione reciproca fra i tre livelli? Non rischiamo, nel momento in cui tali connessioni si perdono, di divenire pazzi per davvero?

Verrebbe allora da chiedersi quali dovrebbero o potrebbero essere le forme o i contenuti capaci oggi di riaggregare seppur metastabilmente queste soggettività dissolte, dividuate (per utilizzare un termine degli stessi Deleuze e Guattari), e dunque di poter davvero contribuire ad una nuova “ecologia generale”68.

Se sul piano teorico abbiamo già individuato alcuni degli strumenti in grado di stare al passo con le trasformazioni del presente, sul piano dell’attività e delle pratiche la sperimentazione è tutt’ora in atto. Ci sentiamo però di essere ancora una volta d’accordo con Guattari nell’affermare che, se «quel che condanna il sistema di valorizzazione capitalistica è il suo carattere di equivalente generale», ossia di matrice che assorbe ed appiattisce tutti gli altri modi di valorizzazione, ad esso «sarebbe opportuno, se non opporre, per lo meno sovrapporre degli strumenti di valorizzazione fondati sulle produzioni esistenziali»69, smarcate dalla resa e dal profitto che il capitalismo, comunque, tenterà di generare. Ecco allora che l’alternativa potrà essere cercata nel senso di questo rovesciamento di valori e di logiche, e dunque nel tentativo di scongiurare, «con tutti i mezzi possibili», «la crescita entropica della soggettività dominante»70. O per meglio dire, di questa non-soggettività dominante. E non certo, come lo abbiamo affermato a più riprese, per andare nel senso di un nuovo umanismo, quanto nel segno di un anti-umanismo o post-umanismo radicale e strategico, secondo Neyrat71, o di un divenire neghentropicamente “non-inumano”, secondo Stiegler72. Una volta intrapreso un simile tragitto, allora, starà alle nuove componenti ecologiche il compito di ripolarizzare questi fenomeni, ed attraverso i saperi così generati, affermare il proprio peso nei rapporti di forza politici e sociali73.

1Proposta dal Nobel per la chimica olandese Paul Cruzen nel 2000, la nozione di Antropocene è tutt’ora in corso di validazione su di un piano geologico, ma ampiamente sdoganata per quanto riguarda le scienze umane e sociali. Per un’introduzione al tema, cfr. P. J. Crutzen, Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era, a cura di A. Parlangeli, Milano, Mondadori, 2005. Si vedano inoltre le pubblicazioni monografiche delle riviste “Lo Sguardo” (n. 22, 2016), “La Deleuziana” (n. 4, 2016) e “Azimuth” (n. 9, 2017).

2J.-B. Fressoz, C. Bonneuil, L’événement Anthropocène. La terre, l’histoire et nous, Paris, 2013.

3 Per un’analisi dettagliatamente sfaccettata di tali punti di vista, si veda Frédéric Neyrat, La part inconstructible de la Terre. Critique du géo-constructivisme, Paris, Seuil, 2016.

4F. Guattari, Entretien à la télévision grecque (1992), «Chimères», 1/2009 (n° 69), pp. 51-63. La trascrizione di tale intervista è consultabile anche su www.cairn.info/revue-chimeres-2009-1-page-51.htm, ed è tradotta in italiano col titolo “Dagli anni d’inverno all’ecosofia”, sul n. 40 della rivista Millepiani (pp. 77-86). Per un approfondimento in merito, mi permetto di rimandare a S. Baranzoni, “Cosa state facendo di voi stessi?” Guattari e la televisione, verso un’era post-media, in I. Pelgreffi (a cura di), Il filosofo e il suo schermo. Video-interviste confessioni monologhi. Napoli, Kaiak, 2016.

5F. Guattari, Le tre ecologie, Alessandria, Sonda, 1991, p. 43.

6Si veda, tra gli altri, A. Goffey, Introduction, in F. Guattari, Schizoanalytic Cartotographies, London, Bloomsbury, 2013.

7Si veda in particolare G. Deleuze, F. Guattari, L’anti-Edipo, Torino, Einaudi, 1975.

8G. Deleuze, F. Guattari, Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, Napoli-Salerno, Orthotes, 2017.

9F. Guattari, S. Rolnik, Micropolitiques, Paris, Seuil, 2007.

10F. Guattari, Les années d’hiver. 1980-1985, Paris, Les prairies ordinaires, 2009.

11Cfr. B. Stiegler, De la misère symbolique, Paris, Flammarion, 2013, p. 19 e sgg.

12Su questo tema, cfr. S. Baranzoni, “Il noi che sente. Esperienza condivisa e formattazione tecnologica”, in Il senso sociale. Dal social alla polis e ritorno, a cura di S. Baranzoni e P. Vignola, Napoli, Kaiak, 2016, pp. 33-56.

13Cfr. B. Stiegler, La société automatique 1. L’avenir du travail, Paris, Fayard, 2015, p. 43 e sgg.

14Non è in realtà questo l’unico frangente di tale coincidenza. Sebbene parta da necessità a volte piuttosto distanti, il pensiero dei due filosofi è spesso affine, e non situandosi affatto sul piano dell’eredità o della prosecuzione, quanto su quello di una sintomatologia e di un’etica del presente, tale affinità andrebbe esplorata a fondo. In Italia, il merito della prima associazione in tal senso va alla rivista Millepiani, che nel 2006 pubblica un numero dal titolo “La catastrofe dell’immaginario” (n. 30, febbraio 2006) dedicato, appunto, a Guattari e Stiegler, sebbene mantenendo qualche riserbo sulla trattazione filosofica di quest’ultimo. Nel presente testo si cercherà invece di schizzare qualcuno dei tratti d’unione tra i due, con particolare riferimento, evidentemente, al discorso ecologico.

15Per quanto riguarda Stiegler, cfr. Dans la disruption. Comment ne pas devenir fou?, Paris, Les lièns qui libèrent, 2016.

16F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 39.

17Ivi, pp. 16-18.

18Ivi, p. 13.

19Ivi, p. 17.

20Ivi, p. 14.

21Ivi, p. 33.

22Ivi, p. 22.

23Ivi, p. 32.

24In questo senso, sarebbe interessante pensare quanto possa corrispondere a un vero cambiamento culturale un’iniziativa come quella del “Manifesto ecosessuale” di Elizabeth Stephens e Annie Sprinkle (cfr. Manifesto ecosessuale, in “La Deleuziana”, n. 6/2017: “I milieux del desiderio”, pp. 175-176), pensato come un fronte di recupero di certi «ambienti avvelenati dalla distanza» (E. Hache, Lasciarsi toccare. Introduzione al Manifesto ecosessuale, in “La Deleuziana”, n. 6/2017, cit., pp. 172-174, cit. p. 173), e di una ricostituzione delle relazioni attraverso i corpi e grazie a certe pratiche affettivo-amorose con la terra.

25Com’è noto, facendo leva sul termine greco “pharmakon”, contemporaneamente rimedio e veleno, Bernard Stiegler ha sviluppato tutto un pensiero della tecnologia che la vede come al tempo stesso intensificante e diminutrice di potenza delle soggettività e delle collettività. Cfr., in particolare, B. Stiegler, Ce qui fait que la vie vaut la peine d’être vecue. De la pharmacologie, Paris, Flammarion, 2010.

26Su questo punto, cfr. le analisi di F. Berardi Bifo, che chiude così il suo “L’accelerazionismo in questione dal punto di vista del corpo” (in Gli algoritmi del capitale, a cura di M. Pasquinelli, Verona, Ombre Corte, 2014, pp. 39-43): «il processo di soggettivazione autonoma è devastato dall’accelerazione caotica, e la soggettività sociale è catturata e soggiogata dalla governance del capitale, sistema costituito da dispositivi automatici che corrono a velocità strabiliante» (p. 43).

27F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 26.

28Ci riferiamo qui all’ormai noto “Manifesto per una politica accelerazionista” di Alex Williams e Nick Srnicek (in Gli algoritmi del capitale, a cura di M. Pasquinelli, cit., pp. 17-28).

29Per un’estesa ricognizione del tema dell’accelerazionismo si veda l’ottimo lavoro del collettivo Obsolete Capitalism (http://obsoletecapitalism.blogspot.com). Sul piano della sofferenza della soggettività in questa situazione tecnologica estrema, e sulle possibilità farmacologiche aperte dall’accelerazione tecnica, si veda S. Baranzoni, P. Vignola, “Biforcare alla radice. Su alcuni disagi dell’accelerazione”, in Moneta, rivoluzione, filosofia dell’avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Klossowski, Guattari, a cura di Obsolete Capitalism, ebook, Obsolete Capitalism Free Press-Rizosfera, 2016.

30F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 14.

31Secondo Stiegler, «l’organologia generale è un metodo di analisi congiunta della storia e del divenire degli organi fisiologici, degli organi artificiali e delle organizzazioni sociali. Essa descrive una relazione trasduttiva tra tre tipi di “organi”: fisiologici, tecnici e sociali. La relazione è trasduttiva nella misura in cui la variazione di un termine in un organo coinvolge sempre la variazione dei termini negli altri due tipi di organi». V. Petit, “Vocabulaire d’Ars Industrialis”, in B. Stiegler, Pharmacologie du Front national, Paris, Flammarion, 2013, p. 419.

32F. Guattari, Le tre ecologie, cit., pp. 25-26.

33Per un’analisi dal sapore guattariano della relazione fra Trump e le piattaforme social, segnalo G. Genosko, I buchi neri della politica: risonanze di microfascismo, in “La Deleuziana”, n. 5/2017: “Le macchine da guerra dei ritornelli terrestri”, pp. 59-67.

34F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 25.

35Su questa proposta, cfr. P. Vignola, Notes for a Minor Anthropocene, in “Azimuth”, n. 9, 2017, pp. 81-96; T. Cohen, Make Anthropos Great Again! Notes on the Trumpocene, in “Azimuth”, n. 9, cit., pp. 97-112.

36F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 15.

37Sull’idea che il capitalismo può passare da una fase all’altra della sua esistenza mobilizzando ed incorporando le critiche principali e più potenti che gli vengono mosse, interessante il confronto con le analisi di Luc Boltansky e Eve Chiapello, in Il nuovo spirito del capitalismo, Milano-Udine, Mimesis, 2014.

38G. Deleuze, “Poscritto sulle società di controllo”, in Pourparler, Macerata, Quodlibet, 2000, pp. 234-241.

39Tale è la tesi del “Manifesto ecomodernista” (2015), una scrittura collettiva di filosofi, sociologi, attivisti, scienziati ed artisti, raccolti perlopiù attorno al californiano Breakthrough Institute, che invoca questo tipo di presa di potere al fine di costituire un “buon Antropocene”, in nome della libertà e dell’autodeterminazione umana. Cfr. http://www.ecomodernism.org/italiano/.

40Ibid.

41F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 43.

42Ibid.

43Ibid.

44Cfr. F. Neyrat, La part inconstructible de la Terre, cit.

45Ivi, p. 34.

46Cfr. inoltre, F. Neyrat, L’indemne. Heidegger et la destruction du monde, Paris, Sens&Tonka, 2008, e Id., Atopies. Manifeste pour la philosophie, Paris, Les belles lettres, 2014.

47La critica nemmeno troppo implicita di Neyrat si rivolge soprattutto a Bruno Latour. Si veda in particolare B. Latour, Non siamo mai stati moderni, Milano, Elèuthera, 2009, e Id., Reassembling the Social: An Introduction to Actor-Network-Theory, Oxford: Oxford UP, 2005.

48F. Neyrat, L’indemne, cit., p. 194 e sgg., Id., Atopies, cit., p. 71 e sgg.

49F. Neyrat, Atopies, cit., p. 72. Nella stessa pagina, Neyrat associa apertamente la sua proposta con quella guattariana dei “territori esistenziali”.

50Su questo tema, si veda anche la critica di Neyrat alla prospettiva sferologica di Peter Sloterdijk (F. Neyrat, La vie dans les sphères: comment vivre dans un oikos éclaté?, in “Multitudes”, n. 24, 2006, http://www.multitudes.net/wp-content/uploads/2006/04/24-neyrat.pdf).

51F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 45.

52Su questo tema, cfr. J. Rancière, La partizione del sensibile. Estetica e politica, Roma, DeriveApprodi, 2016.

53Ossia, l’area che comprende nove municipalità nella banlieu nord di Parigi. Si veda http://www.plainecommune.fr.

54Il processo di “capacitazione”, così chiamato sottintendendo il rimando alle teorie dell’economista Nobel Amartya Sen, seppure non troppo distante dalle proposte di educazione continua del cittadino, si occupa nello specifico di valorizzare, migliorare e mettere a disposizione le capacità individuali perché possano divenire punto di forza per tutto il collettivo, e trasmesse in un ricircolo continuo di moltiplicazione dei saperi.

55F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 28.

56Ivi, p. 42.

57F. Neyrat, La part inconstructible de la Terre, cit., pp. 29-30.

58Cfr. T. Berns, A. Rouvroy, Gouvernementalité algorithmique et perspectives d’émancipation, in “Réseaux” 177, 2012, pp. 163-196.

59F. Guattari, Le tre ecologie, cit., pp. 30-31. L’acronimo “CMI” sta per Capitalismo Mondiale Integrato.

60N. Thrift, cit. in E. Hörl (ed.), General Ecology. The New Ecological Paradigm, London, Bloomsbury, 2017, p. 8.

61A. Rouvroy, La governamentalità algoritmica: radicalizzazione e strategia immunitaria del capitalismo e del neoliberalismo?, in “La Deleuziana”, n. 3/2016: “La vita e il numero”, pp. 30-36 (cit. p. 35).

62F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 31.

63Ivi, p. 30. Tra l’altro, questo rischio di degenarazione della comunicazione relazionale tra i singoli era già stato preso in considerazione da Guattari nella sua critica al lavoro di Gregory Bateson, la cui ecologia delle idee è sicuramente fondamentale perché non viene limitata alla psicologia degli individui ma si organizza in sistemi o menti che potremmo dire collettive, ossia che non si limitano più agli individui che vi partecipano. Ma la sua lettura dell’azione ed enunciazione delle singole parti come legate a un sottosistema ecologico (contesto) che realizza un modello cibernetico, dunque autocontrollato (attraverso i regolatori) e tendente di per sé a un equilibrio autoconfermante, non può trovare totalmente d’accordo Guattari, che riporrà sempre il primato nelle prassi di rottura rispetto a un pretesto (e dove il contesto sara sempre dunque qualcosa che si instaura attraverso l’azione). Cfr. ivi, p. 34.

64Ivi, p. 29. Cfr. anche p. 38 e sgg.

65A. Rouvroy, B. Stiegler, Il regime di verità digitale. Dalla governamentalità algoritmica a un nuovo Stato di diritto, in “La Deleuziana”, n. 3/2016, cit., pp. 6-29 (cit. p. 13).

66F. Guattari, Rivoluzione molecolare. La nuova lotta di classe, Milano, Pgreco, 2017, pp. 207-208.

67Cfr. B. Stiegler, Dans la disruption, cit.

68Cfr. E. Hörl (ed.), General Ecology, cit.

69F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 42.

70Ivi, p. 44.

71Cfr. F. Neyrat, L’indemne, cit., p. 207.

72Cfr. B. Stiegler, Dans la disruption, cit., p. 46.

73Cfr. F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 43.